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‘Testimonianze’

Chi era Don Camillo?

Solo attraverso le parole di chi ha condiviso con Lui un pezzetto della sua vita è possibile farsi un’ idea.

Ha aperto il suo cuore all’accoglienza perché voleva che tutti si sentissero amati da Dio

Don Camillo ha aperto la sua casa alla carità e all’acco­glienza perché credeva fino in fondo nelle persone e nella loro in­violabile dignità. Ha ospitato, assistito e guidato tantissime don­ne, provenienti dai più svariati paesi del mondo, ridando loro una prospettiva di vita. Ci teneva moltissimo a costruire un rapporto umano con le persone e il suo grande dono è stato proprio quel­lo di arrivare dentro il loro cuore perché tutti potessero sentirsi amati da Dio. Da tutte le donne ospitate dalla casa di accoglien­za era considerato un padre. Tutte lo chiamavano papa. Aveva fatto in modo che la vita nella sua casa si svolgesse come quella di una famiglia, anche se a volte oltre le regole. Tutte le persone che si rivolgevano a lui per chiedergli aiuto avevano e hanno grandi problemi e difficoltà, ma grazie al suo immenso cuore le accoglieva, come un padre fa con una figlia, indipendentemente dalla loro provenienza e anche se non sono come noi le voglia­mo. Negli incontri che effettuavamo al MASCI, di fronte alle no­stre domande e perplessità, ci sgridava invitandoci ad aprire le braccia dell’accoglienza con il sorriso sul volto e a “sporcarci le mani ” senza paura.
Credo che il motto scout “Eccomi sempre pronto a servire l’uomo”possa rappresentare lo spirito con cui don Camillo è vis­suto con la sua grandissima capacità di guardare avanti e di an­ticipare i tempi. Ci diceva anche che occorreva avere la Bibbia in mano, ma anche i giornali. Voleva e si adoperava perché noi scout guardassimo avanti tessendo amicizie, conoscenze e rap­porti indipendentemente dai ruoli e dai colori politici con l’obiet­tivo di arrivare al cuore dell’uomo per fargli cogliere la presen­za di Dio.
Don Camillo ha vissuto con gioia la sua vita perché ha dona­to davvero tutto quello che aveva: e soprattutto se stesso.
Tina Saglia (Risveglio 28 settembre 2007)

Lara, a nome delle donne straniere che sono tuttora ospiti della canonica di s. Pietro

Mi è difficile esprimermi ma non voglio perdere l’occasione di salutare con un grande affetto per l’ultima volta il nostro caro Don Camillo. L’ho conosciuto al momento del mio arrivo in Italia, che sarebbe di 7 anni fa. L’ho conosciuto in un momento molto difficile per me, come per tutte le altre straniere appena arrivate in Italia. Mi ha accolto nella sua casa con tanta generosità di padre. Mi ha dato forza e serenità, mi ha incoraggiato e sostenuto aiutandomi a trovare un lavoro. Ha ospitato me, poi altre centinaia e centinaia di donne straniere come me, portando nella sua casa un po’ di confusione. Ma lui aveva tanta pazienza con tutti, perche’ lui era prima di tutto un uomo con un grande cuore, con un’immensa generosità per tutti, era un prete di Dio per la parrocchia di San Pietro, e infine lui era un uomo “UNIVERSALE”.
Solo lui Don Camillo era in grado di capire tutte le straniere, di tutte le nazionalità. Capiva cosa voleva chiedere quella nigeriana, di che cosa ha bisogno quella polacca, come aiutare quella rumena, dove mettere quella equadorìana, come se conoscesse tutte le lingue del mondo. Capiva l’anima di tutte le persone che chiedevano il suo aiuto. Dico che era “Universale” perché lui era conosciuto in tutto il mondo,
attraverso noi stranieri. Ognuna di noi aveva la stessa risposta da dare ai suoi parenti, ai suoi figli a casa, quando ci chiedevano: “una volta arrivata in Italia dove ti sei fermata, cosa mangi,dove dormi?” La risposta era unica da Don Camillo.
Così tutti dappertutto hanno saputo di quest’uomo di carità che sta ospitando noi tutti. In questo momento credo che la Messa per dire”riposa in pace Don Camillo” si fa in tutti gli angoli del mondo, da dove vengono le nostre donne.
Sappiamo tutti che Don Camillo era anche una persona forte, affrontava con un bel coraggio tutti gli ostacoli che saltavano fuori. Tutto quello che lui faceva, lo faceva non per essere premiato da un Sindaco o da un Vescovo, faceva tutto per il bene della gente, sapendo che sarebbe stato premiato da Nostro Signore per la sua generosità e correttezza.
A nome di tutte le donne straniere chiamate “Figlie di Don Camillo” ringrazio Dio, perché abbiamo avuto il tempo di conoscerti Don Camillo e volerti bene da subito.
Per noi stranieri non è stato facile arrivare in Italia e trovare un angelo come Lei ! Il ricordo della sua bontà, della sua generosità, della sua gentilezza, con il suo bel sorriso, lo voglio conservare tra i più bei ricordi della mia vita, per me sarà vicino ai ricordo di mio padre.
Grazie di tutto Don Camillo ora chiediamo al Signore, che tutto capisce e che sa dare la giusta ricompensa a chi vive secondo la sua parola, di dare a Don Camillo il giusto premio, la giusta ricompensa. Non è giusto dire addio al nostro Padre italiano Don Camillo, perché lui sarà sempre con noi, sarà sempre fra noi, sarà sempre nei nostri cuori Diciamo ” riposa in pace caro Don Camillo”

(Lara 24.09.2007)

Nei pellegrinaggi nei santuari ci ricordava che siamo in cammino verso il regno di Dio

Logo Caritas Unitalsi

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Caro don Camillo,
sappiamo che cadute le barriere mortali tu sei qui, presente fra le persone che ti hanno voluto bene.
Noi tutti, ora, stiamo vivendo il momento dell’addio. Diciamo addio perché certa è la nostra speranza di rivederti un giorno in Dio. Tra tan­ti che oggi piangono tale distacco terreno, ci siamo anche noi della gran­de e bella famiglia dell’Unitalsi. Abbiamo condiviso con te sette anni del­la nostra storia. Ricordiamo in particolare i momenti comunitari nei di­versi santuarì mariani e, come ultimo, la preghiera nello splendido san­tuario di Mariazel, da poco visitato anche dal Papa. Ti rìngraziamo per quel tuo modo sicuro e, direi, scoutistico di organizzare i viaggi di pri­mavera con gli ammalati. Si pregava e… si camminava insieme.
Ricordiamo le tue meditazioni sulla figura della Madonna e il tuo ri­chiamarci al nostro impegno di volontari nella sottosezione: che doveva essere di servizio, un servizio soprattutto legato all’amore verso il pros­simo visto nella luce non solo del “fare”, ma del fare cristianamente. E ricordiamo anche, non per fare i nostalgici, ma perché la viviamo come eredità, la tua ultima lettera indirizzata a ogni socio prima delle elezio­ni per le nuove cariche nella nostra associazione.
Come per la tua ultima cartolina giunta in sede che proveniva, guar­da caso, da Lourdes e il “ricordino ” che hai voluto donare ai nuovi chia­mati, così ci hai definito, a costituire il nuovo consiglio direttivo. Era una Preghiera alla Vergine dell’Equilibrio. Una preghiera molto bella che di­ce alla fine: “Dona a tutti noi fede, forza, coraggio… Solo così, arrivati a sera, equilibreremo le sorti nostre con l’amore tuo e del tuo Figlio”.
Non avremo il nostro assistente don Camillo nei prossimi incontri, ma quanto ci hai donato nella tua ricchezza sacerdotale sarà di incenti­vo al cammino che l’intera associazione è chiamata a percorrere. Gra­zie, don Camillo: la nostra riconoscenza è profonda e con questa il ri­cordo che porteremo di te.
I soci UNITALSI di Fidenza (Risveglio 28 settembre 2007)

“Lasciate il mondo un po’ migliore di come l’avete trovato”

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Questo l’invito che Baden Powell ha lasciato agli scout di tutto il mondo e questo è ciò che ritengo abbia concretamente fatto don Camillo Mellini. Egli è stato innanzitutto una figura esemplare che ha risposto con gioia e fiducia alla chiamata del Signore per una vocazione sacerdotale in grado di far nascere, guidare e soste­nere in tanti il cammino di fede e di spiritualità verso Dio nostro Padre. La peculiarità sta nel fatto che si è avvalso di uno strumento particolare: lo scoutismo. Con il “Grande Gioco”, che proprio quest’anno compie cento anni, don Camillo ha coinvolto miglia­ia di ragazzi e ragazze di ieri e di aggi in una straordinaria avven-tura di crescita umana e spirituale. Uno dei tratti fondamentali della sua opera è stata infatti la grande e autentica passione edu­cativa che l’ha animato in tutti gli ambiti nei quali si è trovato ad operare: parrocchia, scuola e as­sociazione. Don Camillo ha coin­volto tanti non perché parlava di scoutismo, ma perché è stato ve­ramente scout in prima persona. Il suo essere scout era nella capa­cità “di guardare avanti” e di “leggere i segni dei tempi” coniu­gando i valori con l’impegno nel quotidiano e gettandosi in sfide sempre nuove. Questo a volte fra lo scetticismo e la diffidenza di molti, come quando ormai quasi cinquant’anni fa fondò con uno sparuto gruppo di ragazzi lo scoutismo a Fidenza.
Guidato dalla sua “curiosità per la vita” e dalla voglia di ap­profondire idee e relazioni ha sempre testimoniato e praticato
l’importanza  del pensare, progettare, verificare. Di una cosa in particolare è stato maestro: del­l’autentico significato della paro­la “amore” alla quale ha dato cor­po e anima nell’incontro con tan­ti, nella gioia e nel gusto dello stare insieme in allegria, nelle tante opere di servizio ai fratelli, nella disponibilità a un rapporto mai superficiale ma sempre au­tentico, nell’ascolto e incoraggia­mento a quanti a lui si sono rivol­ti. Strada, comunità, servizio: so­no le parole chiave che rappre­sentano l’essenza dello scouti­smo e che anche grazie a lui han­no acquistato un “gusto” nella vi­ta di tanti di noi. Ed è seguendo questi tratti e ispirazioni che si è sviluppata la sua avventura scout in tutti questi anni a Fidenza. Da­gli albori delle prime attività nel quartiere Corea al periodo del Cenacolo di Spiritualità di cui per lungo tempo è stato direttore facendone non solo una sede di ritrovo, ma anche una palestra di servizio e un ambito di incontri formativi per tanti ragazzi. Infi­ne l’ultimo periodo in s. Pietro, il suo rinnovato impegno di parro­co e la voglia di percorrere nuo­ve vie nella sequela del Signore con la creazione di quel centro di accoglienza che tutti conoscono. L’impegno e l’entusiasmo di don Camillo in tutti questi anni non si è limitato solo a Fidenza, ma ha saputo superarne i confini spingendosi in ambiti sia nazio­nali che internazionali con attivi­tà legate allo scoutismo e non. Ne è un esempio il “gemellaggio” tra Fidenza e Santa Maria Tiberina (1978) di cui fu uno dei principa­li artefici e promotori. Nato da un’esperienza scout, alcuni cam­peggi estivi e la generosa ospita­lità degli abitanti del luogo, è di­venuto un evento capace di supe­rare i limiti di un’associazione e trasformarsi in occasione di in­contro per due intere comunità. Al termine di queste mie note im­magino che don Camillo, perso­na schiva di elogi e un po’ timi­da, scuota la testa e bonariamen­te mi rimproveri per il ritratto che ne ho delineato. Ma questa è l’immagine che serbo di lui: una figura paterna che, pur con le de­bolezze e gli errori che sono pro-pri di ogni essere umano, ha rap­presentato il valore e la grandez­za dello spendersi per gli altri e l’autentica e sincera incarnazione
del motto “del proprio meglio”.
Francesco Biondi (Risveglio 28 settembre 2007)

TORNARE AL VANGELO PER COSTRUIRE UNA VERA CHIESA MISSIONARIA*

 

TORNARE AL VANGELO PER COSTRUIRE UNA VERA CHIESA MISSIONARIA*
Intervista a don Camillo Mellini parroco di S. Pietro Apostolo – Fidenza
❑ Don Camillo, lei ha sempre avuto una particolare attenzione per la realtà missionaria, per i problemi del Sud del mondo e per le persone che dai paesi poveri giungono qui. Come è maturato in lei tutto ciò?
L’idea dell’attenzione agli altri viene da lontano, dal confrontare le nostre condizioni con le loro per un senso di giustizia distributiva. In seminario, con gli entusiasmi giovanili, ero quasi deciso a partire missionario. Il Vescovo disse no e allora sono rimasto qui guardando però sempre verso là. Ho cercato di fare sempre ciò che era possibile, di allargare gli orizzonti, di educare in tal senso il gregge che mi era affidato. Poi un giorno si sono presentate situazioni concrete. Infatti, l’impegno di fare della casa parrocchiale dove io stesso vivo una casa di accoglienza è nata un po’ per caso e un po’ per costrizione.
All’inizio mi sono interrogato un po’ di fronte a questa situazione: ad accogliere delle persone in casa, stranieri, chissà quali reazioni avrei suscitato.
Poi, mi son detto, in fin dei conti non lo faccio per me, ma per chi mi ha mandato qui, questa casa è la casa di tutti. Così ho iniziato con due persone e sono arrivato fino a 35-40. Quello che mi stupisce è che arriva tutto quello che serve per queste persone. Non ho bisogno di comprare che il pane. Tra la gente alcuni aiutano con generosità e in silenzio, anche significativamente, altri manifestano grettezza, chiusura, quel bigottismo che vede solo “il mio Gesù” senza capire. In ogni caso, da solo non avrei mai pensato di riuscire, adesso mi arriva anche più del necessario.

❑ Da diversi anni lei ci accoglie nella sua parrocchia. Per la sua lunga esperienza di parroco, impegnato anche nell’ospitalità agli immigrati, pensa che il confronto, lo scambio con realtà di paesi di missione possa essere utile nel cammino pastorale missionario delle parrocchie italiane?
La nostra Chiesa in Italia ha bisogno di allargare gli orizzonti. La nostra gente è generosa nelle offerte e nell’aiutare i missionari, ma non ha ancora una vera mentalità missionaria. E’ una Chiesa antica legata al territorio, alle proprie pietre, ai monumenti d’arte che abbiamo e che riflettono il nostro ambiente. Il fenomeno dell’immigrazione costringe ad una riflessione. Spesso però si preferisce chiudersi in casa e rifiutare di riflettere e di vedere la realtà. Molti sfoderano anche una mentalità razzista. Il razionalizzare, invece, il confronto con questa realtà e quella delle missioni è urgente.Quando vi ho conosciuto, ho scoperto questa ricchezza che è la Redemptor hominis. Ho ammirato la mentalità di questa Comunità, diversa dal solito e con la capacità di fare scelte coraggiose. Anche la vostra rivista è diversa dalle altre riviste missionarie, ha idee diverse, soprattutto l’articolo di fondo, in prima pagina, che è sempre qualcosa che provoca e
arricchisce, anima e invita il primo mondo ad aprirsi ad altri orizzonti.

❑La Chiesa in Italia, anche nel recente Convegno Ecclesiale di Verona,ha richiamato con forza la responsabilità dei fedeli per una pastorale di apertura missionaria. Quali prospettive e strumenti, secondo lei, si potrebbero intravedere per sviluppare una Chiesa veramente missionaria e attenta ai più poveri nel mondo?
Il Convegno di Verona ha riflettuto molto e anche in senso missionario. Ma, come ha già notato la rivista Nigrizia, ha avuto orizzonti stretti. Si è parlato della missione non come nostra realtà, ma come cosa d’altri e non c’è stato slancio, né il sentirsi cittadini e cristiani del mondo, è rimasta piuttosto Chiesa Italiana o cristiani italiani che aiutano gli altri. Finché si chiede l’offerta, la si dà anche volentieri, ma quanto al coinvolgimento abbiamo ancora da camminare.
Verona ha rivelato cose grandi alla Chiesa Italiana, ma anche i difetti dei suoi cristiani.
Per una Chiesa veramente missionaria occorre prima di tutto tornare al Vangelo. Il Vangelo nonè legato all’Italia o ad un’altra nazione. Il ritorno al Vangelo significa ritrovare la forza di dire“io ho un privilegio”, ho la fede, la conoscenza di Gesù Cristo, non posso tenerlo per me, devo donarlo agli altri, impegnandomi personalmente in questo e non dando solo quello che avanza. Noi oggi non possiamo dare i resti ai poveri e tenerci tutto per noi. Dovremmo imparare a capire e a farci carico dei poveri del Sud del mondo per arrivare a dire che hanno gli stessi diritti e gli stessi doveri che ho io: “ama gli altri come te stesso”. Se vogliamo poi capire qualcosa in più e assimilarci a Cristo, dovremmo comprendere meglio
quell’“amate gli altri come io ho amato voi”.
(A cura di Emanuela Furlanetto)*Pubblicato su “Missione Redemptor hominis” n. 79 (2006) 7.